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La compagine italiana a Strasburgo

Per delineare la configurazione del gruppo degli eletti italiani cominciamo con un’analisi di genere. L’applicazione della regola di una distribuzione tra i generi delle preferenze sembra aver prodotto risultati interessanti. Si passa da una delegazione uscente a netta prevalenza maschile, con solo 14 deputate su 72, ad una nuova delegazione, ancora a prevalenza maschile, ma con una “quota rosa” pressoché raddoppiata: secondo il computo delle preferenze sarebbero 29 le donne elette nella delegazione italiana. Uno scorrimento non favorevole al candidato Furfaro, come annunciato all’indomani del voto, dovuto alle scelte della pluri-eletta Barbara Spinelli, e la rinuncia al seggio di Flavio Tosi a favore della rielezione della leghista vicentina Bizzotto. potrebbero portare a 30 le donne italiane nel nuovo PE (41.1%).  In questo successo è determinante l'apporto del Partito Democratico (PD) che elegge 14 deputate su 29 seggi, anche se l’unico partito ad aver eletto tra le proprie fila una percentuale di donne superiore al 50% è il Movimento 5 Stelle (M5S) con 9 su 17. Fanalino di coda è l’alleanza tra Nuovo Centro Destra e UDC, che non elegge nemmeno una donna.

Un altro aspetto interessante della nuova delegazione italiana è l’età. Considerando il gruppo di eletti sopra menzionato, l'età media degli eurodeputati italiani passa dai 58 anni della delegazione uscente a 47 anni e mezzo. Un abbassamento sensibile che rispecchia da un lato la tendenza nazionale di alcuni partiti (PD e M5S quelli in particolare), al ricambio della classe dirigente, dall’altro il fatto che l’assemblea europea continua ad essere vista come “palestra” per alcuni politici juniores, in attesa di incarichi politici di rilievo a livello nazionale. Anche in questo senso è il M5S ad detenere il record della delegazione “più giovane” in termini di età media (37 anni). Nelle file del M5S è stato eletto anche il più giovane deputato del parlamento (Marco Zanni, 27 anni).  Anche in termini anagrafici, si posiziona all’ultimo posto il NCD-UDC che con un’età media di delegazione di 60 anni. A questa delegazione potrebbe appartenere il deputato più anziano, Carlo Casini (79 anni), che presenta anche la maggiore seniority parlamentare, apprestandosi a cominciare la sua sesta legislatura.. Nonostante il rinnovamento, Il PD supera la media (51 anni), mentre sia Lega Nord (LN) che Forza Italia (FI) si posizionano in linea con essa.

L’identikit della classe politica italiana in Europa è complessivamente molto simile al profilo dell’elite parlamentare “romana”: circa l’80% (58 su 73) gli europarlamentari laureati, con una prevalenza (50%) dei background umanistici o sociali, al cospetto dei laureati in legge (31%) o nelle discipline scientifiche (19%). L’origine professionale essenzialmente politica o sindacale rimane la caratteristica fondamentale per una robusta maggioranza relativa di eurodeputati (32,9%), ma contano, come da tradizione, anche le professioni legali e, con la consueta diversità nelle distribuzioni tra le forze politiche, le esperienze nel mondo imprenditoriale, industriale e manageriale. Rispetto al profilo del ceto politico nazionale, si evidenzia la presenza di un buon numero di eletti provenienti dal mondo dei media, della cultura e dell’arte: anche questa è una tradizionale caratteristica del reclutamento nel PE, che in parte si giustifica con la necessità di riempire le liste con candidati capaci di catturare un voto relativamente “svincolato” da logiche di appartenenza, che in realtà escono subito dall’agone politico. Tuttavia, questo fenomeno produce talvolta un canale autenticamente nuovo di formazione della classe politica: varie sono state le ricandidature nel 2014 di eurodeputati che avevano esordito direttamente nel contesto europeo dopo una carriera nel mondo artistico o mediatico. Per alcuni di questi personaggi, l’ex giornalista televisivo Sassoli, la soubrette Matera, la presentatrice Gardini, la ricandidatura è stata un successo.

Diamo un'occhiata  alle esperienze pre-elettive politiche dei 73 eurodeputati eletti in Italia nel 2014.  Come è evidente, i partiti nazionali continuano a selezionare in modo massiccio all’interno della propria dirigenza il piccolo gruppo di personalità da inviare a Bruxelles.  Queste esperienze si associano tipicamente al percorso locale (spesso si tratta di sindaci o presidenti di provincia) o a quello regionale. Sembra in calo rispetto al passato il dato relativo alla percentuale di parlamentari nazionali “in viaggio” verso l’Europa, anche se non mancano casi di politici nazionali (inclusi ex membri del governo) che scelgono questo livello istituzionale. Si deve tenere presente che i 17 eurodeputati del M5S non presentano alcune di queste caratteristiche (con l’eccezione della codifica di “dirigente partitico” attribuita a pochi casi di organizzatore  di meet-up). Dunque, escludendo questo nuovo gruppo di rappresentanti, il complesso dei background politici rimane sensibilmente rilevante tra i nostri eurodeputati.

Certamente, non si può dire la stessa cosa per il background nei ristretti circoli degli euro partiti, ancora irrilevante nel processo di selezione in Italia. Il dato del 2014 è tuttavia interessante: tra i 4 deputati che mostrano tale caratteristica, 3 vengono dalla “ultima leva ” del reclutamento in casa PD, il partito più grande tra quelli inseriti nelle federazioni partitiche sovranazionali (Alessia Mosca, Brando Benifei ed Elena Schlein). È presto per dire che si tratta dell’avvio di un processo di selezione basato sul grado di “esperienza sovranazionale” dei candidati, ma è un indizio importante, che si aggiunge per altro ai casi di eletti con esperienze a vario titolo nelle organizzazioni internazionali ed anche a qualche esperienza di assistente parlamentare europeo.

Il trend di rinnovamento che aveva portato nel 2009 il contingente italiano a segnare il più alto tasso di neo-eletti (68%) sembra non essersi arrestato, anche a causa dei sommovimenti nel sistema partitico. Il picco registrato nel 2014 è infatti del 75%. I dati mostrano tuttavia che sono anche le strategie e, soprattutto, le preferenze degli elettori (guidate dalla novità della preferenza obbligatoria per entrambi i generi) a determinare il ricambio.

Nonostante che PD e i partiti di centro-destra abbiano ricandidato una elevata cifra di eurodeputati uscenti, solo 15 di questi sono stati rieletti (9 del PD e 4 di FI, Salvini ed uno tra La Via e Casini), producendo le scelte degli elettori e (nel caso di FI, NCD e Lega) il calo dei seggi disponibili, alcune esclusioni di cui si è occupata la stampa. Il numero complessivo dei confermati è stato parzialmente incrementato a seguito di rinunce e proclamazioni contestate. Con le attribuzioni provvisorie che abbiamo
già indicato, la quota complessiva dovrebbe essere fissata a 18 unità. 
Ancora una volta, la delegazione italiana si dimostra fortemente innovativa, ma sarà anche chiamata ad affrontare un percorso di adattamento alle dinamiche del PE, dovuto alla  mancanza di esperienza e socializzazione
Concentriamoci ora sui lavori parlamentari, e in specifico sui dati relativi alle principali attività in plenaria e commissione ed alle presenze in aula. Come abbiamo fatto in passato nella Antenna Parlamentare, possiamo calcolare un Indice di Attivismo (IA) che tiene conto di vari indicatori (partecipazione al voto, rapporti e pareri, interrogazioni, mozioni e dichiarazioni sia in aula che in commissione). Siamo coscienti della valenza solo indicativa di tale indice, che è stato anche criticato con varie argomentazioni da alcuni protagonisti, ma che sembra comunque assai più affidabile rispetto ai ranking pubblicati da vari siti web e che vengono spesso ripresi dai parlamentari stessi, quando i risultati sono loro favorevoli. Pertanto utilizzeremo la distribuzione dell’indice soltanto per misurare complessivamente l’attivismo del gruppo degli italiani rispetto all’universo degli eurodeputati.
Su 18 rieletti, ben 11 superano la media complessiva dei deputati europei uscenti: un dato superiore a 1 è infatti indicatore di “alto” attivismo. La media complessiva di pro-attivismo in questo gruppo è superiore alla media europea del 43%. Si tratta dunque della selezione di un gruppo di rappresentanti europei particolarmente attivo. Ma ciò significa che le scelte delle segreterie di partito, principali attori della selezione delle candidature, e quelle degli elettori sono realmente guidate dall’analisi delle competenze e dell’impegno in sede sovra-nazionale? Ci sono vari dubbi al riguardo.

Intanto, alcune caratteristiche non considerate in questo indice come le responsabilità istituzionali pregresse non sono state sempre “premiate”: per esempio, dei due vice-presidenti del PE (Roberta Angelilli, NCD-UDC, e Gianni Pittella, PD) solo il secondo è stato rieletto, per altro con un ottimo riscontro in termini di preferenze. In secondo luogo alcune “performance” elevate nell’indice possono essere il frutto di una concentrazione di lavoro ripetitivo (ad esempio l’uso di mozioni o emendamenti “fotocopia”) a discapito di altre importanti attività – per esempio  i pareri e soprattutto i rapporti legislativi – nei quali non tutti i nostri rieletti brillano al cospetto della media europea (in un paio di casi registriamo addirittura un sintomatico “0”). 

Guardando alle attività parlamentari della delegazione italiana (2009-14) sopra descritte in chiave comparata, ciò che emerge è un ragguardevole scarto in termini di attivismo e presenze tra i rieletti ed i parlamentari che, per differenti ragioni, hanno abbandonato il proprio seggio a Strasburgo. Un dato generale che ben definisce il gap tra i due gruppi è rappresentato dalle presenze (82,5% nel caso dei rieletti e 78,2% nel , con uno scarto di quasi 5 punti percentuali a favore dei primi).

Osserviamo la differenza nelle attività “in sede plenaria” dei due gruppi, utilizzando due serie di indicatori. I deputati rieletti dimostrano un livello di attivismo medio superiore in ognuna delle sei attività di plenaria considerate: +167% nel caso dei rapporti presentati (attività parlamentare tra le più rilevanti), +117% per le bozze di opinioni, +74% per i rapporti emendati, +18% per le dichiarazioni scritte, +17% per le interrogazioni parlamentari, e +1% per le mozioni di risoluzioni sottoscritte. Il fatto che il trend si ripeta, seppur ad intensità differenti, per ognuna delle attività considerate suggerisce la presenza di dinamiche strutturali. 

In generale, la competitività dei rieletti italiani sembra essere correlata da un lato al loro attivismo nella legislatura precedente, dall'altro al tasso di fedeltà espressa nei confronti del partito nazionale, anche contro la linea del gruppo europeo di appartenenza
Le stesse dinamiche si confermano guardando alle due delegazioni partitiche più numerose nel passaggio tra le legislature (PD e FI).  Nella gran parte delle attività considerate si conferma il maggiore attivismo dei rieletti, particolarmente rilevante nel caso di rapporti e pareri presentati. Due parziali eccezioni, nel caso di FI, sono rappresentate dalle risoluzioni sottoscritte e dalle interrogazioni parlamentari, serie per le quali la differenza tra rieletti e non rieletti tende a 0. Vale la pena menzionare, tuttavia, che nella stessa delegazione i rieletti presentano un numero di rapporti presentati del 335% superiore rispetto a non rieletti. Data la rilevanza di questa attività parlamentare, possiamo sottolineare il fatto che, in generale, la competitività del complesso dei rieletti italiani sembra correlata al loro impegno nel mandato precedente, anche se non vi sono evidenze specifiche di una forte attenzione dei partiti o degli elettori rispetto a questi elementi.

Un'ultima dimensione che merita attenzione è quella della fedeltà di partito espressa dai deputati, ovvero la loro propensione a votare in linea con le istruzioni della del partito nazionale, e, se necessario, contro la linea del gruppo europeo di appartenenza. In entrambe le  principali delegazioni partitiche, il gruppo dei rieletti si conferma più fedele rispetto ai non rieletti, con un gap sensibilmente più marcato nel caso di FI (98% vs. 93%). Il trend permane anche guardando alla delegazione italiana in genere (94% vs. 91%), confermando – pur senza alcuna velleità di mostrare un rapporto causale – che i deputati più leali nei confronti del partito tendono ad avere più chances di rielezione. Un alto tasso di fedeltà partitica può determinare del resto più frequenti defezioni rispetto alla linea del gruppo europeo di appartenenza, come evidenziato da una percentuale di voti “leali” al gruppo europeo di circa 10 punti percentuali inferiore rispetto al partito nazionale (82% vs. 94%) nel caso dei rieletti.

Per concludere questa breve analisi, la nuova delegazione italiana al PE appare più giovane e più “rosa” e fortemente orientata al ricambio, anche nei partiti tradizionali. L’attivismo dei pochi riconfermati dovrà essere accompagnato da una buona capacità di inserimento nel network europeo e, auspichiamo, da un miglioramento delle presenze e del lavoro in commissione, per sfatare la tradizionale immagine di un segmento italiano complessivamente “pigro” di eurodeputati. Maggiore attenzione dovrà essere prestata, dai partiti e dagli elettori, a quanto e cosa fanno i loro rappresentanti in Europa durante il loro mandato, nonché alle loro competenze e alla loro storia.

Ma molto dipende adesso dagli stessi rappresentanti: la battaglia per le posizioni istituzionali (presidenze, vice presidenze, rapporteurs, etc.) e per quelle politiche (capogruppo, presidente di partito europeo etc.) che inizierà a luglio sarà il primo banco di prova per gli eurodeputati italiani.

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